Serie A Green
STAMPATutti Alla Sbarra

Speciale “Tutti alla Sbarra”: Una delusione…Mondiale (seconda parte)

L’ex portiere della nazionale italiana Walter Zenga, nell’immediato post-gara aveva sottolineato come sia mancato un punto di connessione tra la squadra e il proprio ct, anime diverse di una selezione votata al prossimo martirio, pardon suicidio. La sensazione ben visibile di una mancanza di empatia tra i giocatori e quella che doveva essere la propria guida. I fatti raccontati nei giorni immediatamente successivi e i potenti spifferi provenienti da Appiano Gentile, ove si sono consumate le ultime tormentate ore da ct di Giampiero Ventura, hanno messo in mostra le crepe che già erano venute a galla nei primi giorni di ottobre dopo il pessimo pareggio di Torino.

Zenga ha evidenziato come con Conte tutti fossero pronti a gettarsi oltre l’ostacolo per il proprio condottiero, mentre con Ventura questa sensazione si fosse avvertita di meno (eufemismo).

I racconti del post-disgrazia hanno messo in mostra tutta l’incapacità di Ventura nel saper affrontare il peso di un momento calcistico molto complicato, senza avere alle spalle quella che Gianluca Vialli ha definito “La propria storia (citando Lippi nel paragone con l’ormai ex ct genovese)”.

Ciò non toglie che i giocatori abbiano dato il massimo e fatto il possibile seppur in una situazione ambientale interna molto complessa, resa ancora più difficoltosa in seguito al mezzo ammutinamento di ottobre e alla famosa riunione di Torino, in cui i giocatori lasciavano volontariamente fuori il ct e il suo staff (pur informandolo di ciò che sarebbe avvenuto). Nella partita più importante della nostra storia recente il ct e la squadra si sono trovati separati in casa, con la tensione alle stelle, e con una guida tecnica ormai fuori dalla connessione con l’evento e con l’intero mondo azzurro (questo stando agli eventi narrati nei giorni successivi – con riunioni tecniche farlocche e paradossali, giocatori spaesati e praticamente abbandonati a loro stessi).

Fabrizio Bocca invece nel suo editoriale su Repubblica ha messo il dito in un’altra piaga: “la vittoria come diritto divino”. La presunzione mostrata dal ct azzurro e da tutta la delegazione di vincere questo spareggio non dico che ci abbia fatto sottovalutare l’avversario, di certo però ci ha messo in una posizione di svantaggio mentale. I nostri avversari non avevano nulla da perdere al contrario nostro, i tetracampioni del mondo. Noi eravamo Golia e loro Davide. Una sindrome che Bocca ha paragonato alla “Sindrome Cardiff” di juventina memoria. Una squadra (la Juve) arriva all’atto finale della massima competizione internazionale per club, con il vento in poppa, sicura di vincere, perché a quell’appuntamento è arrivata quasi forte dei favori del pronostico (secondo chi tra l’altro?). Aveva fatto fuori il Grande Barcellona con una facilità disarmante nei quarti di finale. In semifinale aveva schiantato la rivelazione Monaco, con estrema facilità ma…Non aveva fatto i conti con Cristiano Ronaldo e la sua atavica “fame di vittorie”.

Ed è proprio il Fuoriclasse dell’Isola di Madeira il Trait-d’-union tra il secondo e il terzo punto. Compagnoni, voce storica di Sky sport ha fatto un’analisi chiara e cruda della nostra situazione tecnica. Ha messo in evidenza come in Italia il talento calcistico non manchi, nonostante queste ultime scellerate conduzioni nazionali (al cui interno ci inserisco anche quella di Conte per non aver dato nulla al ricambio generazionale nel post-fallimento brasiliano, pur ottenendo un risultato dignitoso a Euro 2016), il problema vero è nella testa dei nostri giovani giocatori.

Molti di essi arrivano a 20/21/22 anni con in mano un bagaglio tecnico e tattico rilevante, con tutte le possibilità e le potenzialità per esplodere poi però un chip nella loro testa che blocca il processo di crescita, il processo di maturazione. Un campione quando è tale lo è soprattutto nella testa. La domanda che ci pone il noto telecronista sportivo (tra l’altro mio conterraneo, quasi concittadino), è: cosa sarebbe stato Cristiano Ronaldo se non avesse avuto dentro di sé quella voglia di vincere, quell’atavico desiderio di migliorare e di crescere che lo ha portato a eguagliare un alieno come Messi (che secondo il giornalista fa un altro sport), tra poco anche nei trofei personali vinti (tra poche settimane sarà reso ufficiale il quinto Pallone D’Oro  per l’Astro portoghese)?

Il confronto si è spostato sui nostri giovani, di certo bravi, ma avari nella voglia di sudare, di crescere, di diventare campioni.

Ragazzi come Bernardeschi, El Shaarawy, Insigne, Verratti non hanno nulla da invidiare a nessuno nel valore tecnico. Eppure non riescono a compiere quel salto di qualità che gli permetterebbe di diventare stelle di prima grandezza. Non è una mera questione di personalità ma anche un’incapacità nel far scattare nella testa quello che ti permette di diventare un campione.

Nella mia vita sono stato legato a molti grandi calciatori. Quello a cui sono rimasto più affezionato è Pavel Nedved. Il ceco era un giocatore dotato di qualità comuni ma aveva una fame, una voglia di vincere e crescere che lo hanno portato a scalare la vetta del mondo (anno del Signore 2003). Non è mai stato baciato dalla classe di Zidane, Kakà, Ronaldinho, Rivaldo, Messi e Cristiano Ronaldo (per citare giocatori contemporanei al ceco), ma con il lavoro ha raggiunto vertici incredibili, persino per se stesso. Uscire dagli spogliatoi dopo gli allenamenti e continuare a farlo da solo nella stessa giornata, in vacanza e nei periodi senza calcio giocato…Sono questi i dettagli che fanno di un giocatore normale un vero fuoriclasse.

Ora ci troviamo qui. Con la Federazione azzerata tecnicamente (dopo il fallimento pre-mondiale) e con i vertici che hanno dovuto necessariamente azzerarsi dopo una così cocente delusione.

I problemi strutturali non mancano: stadi pessimi e pochissimi di proprietà. I settori giovanili sfornano giocatori che poi ai primi guadagni di un certo valore si adagiano nel proprio benessere e interrompono il proprio progetto di crescita.

Abbiamo sicuramente bisogno di riforme sostanziali sulla falsa riga di quello che hanno fatto altre federazioni calcistiche internazionali (Germania, Francia e ora Inghilterra – non cito volontariamente Brasile e Argentina perché loro hanno la fortuna di avere bacini da cui attingere a getto pressoché continuo), quelle stesse federazioni che oggi ci deridono e scherniscono. C’è la necessità però di creare un nostro modello. In fondo siamo un paese geniale, con le spalle al muro spesso abbiamo saputo tirare fuori il meglio da noi stessi. Tutti ci amano e ci odiano perché ognuno ha le proprie peculiarità ma nessuno la nostra incredibile genialità. Nei giorni scorsi ascoltavo divertito un programma di un noto comico nostrano, in cui il comico in questione dichiarava in tono ironico che fosse giunto il momento per la nostra estinzione. Il nostro contributo all’umanità lo abbiamo dato. Abbiamo consegnato geni come Michelangelo, Leonardo, Brunelleschi, Dante e molti altri che ora non cito per dovere di servizio. Ebbene gli “altri” ci invidiano perché noi siamo sempre in grado di crearne di geni, sempre. Abbiamo la capacità non comune di tirarci sempre fuori dai guai. E’ questa la nostra grandezza. Ed è anche per questo che sono in disaccordo con il simpaticissimo comico (anche se il suo tono nell’affermare quella frase era chiaramente ironico e scherzoso).

Tutto è migliorabile, tutto può rinascere e crescere. Occorrono menti illuminate che ci mettano al passo con i tempi. Discorso che vale ampiamente anche per il calcio.

Quello che però i nostri giovani calciatori devono fare è uscire da quella sensazione di benessere che li mantiene giocatori normali.

In uno dei film “Cult” della nostra generazione, la lunga serie dei film che hanno visto come protagonista Sylvester Stallone nei panni del pugile italo-americano Rocky Balboa, c’è un episodio che riassume brevemente i punti essenziali di questo concetto. Nel terzo lungometraggio della serie Balboa si trova a dover affrontare il temuto Clubber Lang (interpretato dall’intramontabile Mister “T”, Piè dell’A-Team), un pugile nero tecnicamente molto grezzo ma molto forte e affamato. Mickey lo storico manager di Rocky fa di tutto per evitare che Rocky combatta contro Lang. Il motivo? Rocky secondo Mickey si era imborghesito, al contrario del rivale invece che aveva quella fame, gli occhi da tigre di chi venuto dalla strada si apprestava a conquistare il mondo. Il finale del primo incontro lo conosciamo tutti: Rocky va al tappeto alla seconda ripresa (vero che era in apprensione per il suo mentore che stava morendo ma con ogni probabilità quell’incontro lo avrebbe perso ugualmente). Nella rivincita però Rocky (allenato e ben indirizzato da Apollo Creed) ritrova tutte le peculiarità perse, cambia anche il proprio modo di combattere pur di riuscire a mandare al tappeto il suo avversario. E lo farà in 3 round spettacolari nella rivincita.

Ecco come Rocky dobbiamo essere capaci di cambiare la nostra identità, ripartendo dal basso, dalle scuole di formazione. Insegnare ai ragazzi che per diventare un campione occorre dimenticarsi del benessere, bisogna soffrire, sudare. E’ chiaro che non tutti nascono Zidane, Ronaldo o Messi. Occorre però insegnare loro a soffrire e sudare.

La domanda: è allenabile la fame? Questa è una domanda molto difficile a cui rispondere e infatti non lo farò.

Tornando al calcio e lasciando stare le analisi sociologiche è chiaro che la nostra nazionale debba ripartire di slancio da questa (disav)Ventura.

Ora i vertici federali e delle nostre leghe maggiori sono totalmente azzerati. Abbiamo una federazione che presto sarà commissariata, le due leghe maggiori commissariate, ergo…Abbiamo proprio toccato il fondo.

E’ il momento di restituire il calcio a chi di calcio ne conosce. Mettere nei ruoli chiavi grandi ex giocatori e personaggi che abbiano una visione ampia e lungimirante del futuro.

La nazionale poi ha la grande occasione per permettere ai nostri giovani di lanciarsi definitivamente nell’alveo dei grandi palcoscenici, obbligatoriamente responsabilizzati perché privi di antichi parafulmini. Le leggende viventi (in lacrime talune, altre razionalmente sulla via del tramonto) hanno lasciato definitivamente il gruppo.

Occorre rimboccarsi le maniche e permettere al nostro sistema calcio, che da sempre è la terza impresa in Italia per introiti complessivi, di mettersi al passo con i tempi e lanciare le proprie sfide a quelle federazioni nazionali che martedì’ scorso facevano la gara a deriderci.

E’ giusto, ci sta.

Non posso parlare di ricette per il calcio perché per quanto ne possa capire non mi permetto di entrare nel merito. Non intendo fare discorsi di natura tecnica sulla nazionale, dei nomi da cui ripartire (a questo ci ha già pensato ampiamente Torgio Giosatti e mi trova d’accordo).

Il nome del CT? Beh…La nazionale è la punta dell’Iceberg del nostro movimento per questo penso sempre che meriti il migliore sulla piazza. Il migliore in questo momento disponibile è Carlo Ancelotti, quindi è giusto che sia lui il primo eventualmente ad essere preso in considerazione. E’ chiaro che il CT deve essere il coordinatore della nazionale e non di tutto il sistema geo-politico che ruota intorno al calcio (anche se di politica nel calcio ce n’è fin troppa). E’ giusto dunque porlo nelle condizioni di lavorare al meglio e fargli fare il suo dovere, quello del selezionatore dei migliori 22 giocatori italiani al mondo, magari permettendogli di gestire e controllare tutto il sistema delle giovanili azzurre, dall’Under 17 fino all’Under 21. Se gestito nel modo opportuno è un lavoro persino più complesso di quello di allenatore di club e comporta un dispendio di tempo ed energie non comuni (anche se non lo vedo in conflitto – presto secondo me arriveremo anche ai part-time). Chiaro che serve molta energia per farlo, come già detto, e soprattutto idee chiare, con alla base chiaramente una struttura consolidata e funzionante.

Risorgi Italia…

Bonne Chance et Bon CourageStemma Figc

 

4 pensieri riguardo “Speciale “Tutti alla Sbarra”: Una delusione…Mondiale (seconda parte)

  • Lupiae Calcio 1996

    Il saluto in francese alla fine mi sa di beffa però…

    Devo leggere ancora il primo, mea maxima culpa.

  • Dopo la fine ora posso commentare.
    Analisi dettagliata, attenta e lucida di Sconcertato, che tocca i doverosi e trascurati tasti emozionali di questo scenario a dir poco sconfortante.
    Come ad esempio il ricorso al guizzo di Compagnoni che, più di tutti, mi trova concorde nel sottolineare la mancanza di fame (e fama) delle nostre giovani o non più tali promesse. A tal riguardo mi permetto, però, di operare una netta distinzione: tra chi soffre di questa patologia e chi invece sarebbe già pronto a portare sulle spalle il “peso” del fuoriclasse. E’ evidente che i Bernardeschi e addirittura i Verratti debbano iscriversi al primo gruppo, ovvero a quello dei talenti mal gestiti e consigliati ed in primis colpevoli di essere attirati dalle tentazioni del patinato mondo milionario del calcio moderno.
    Dimensione che Lorenzo Insigne ha, per fortuna, solo sfiorato due anni fa accantonandola a favore di una storia di talento fatta di step e crescita costante. Si è ‘fatto’ uomo e professionista esemplare, ha sudato sul campo, avendo la fortuna di apprendere da maestri come Zeman a Foggia e Pescara fino alla consacrazione napoletanta con Benitez e Sarri.
    Insigne sarebbe già un campione assoluto, il suo unico difetto è stato quello di giocare in Italia e nel Napoli.

    Nb: unico rammarico sul pezzo di Sconcertato è leggere di “abilità comuni” di un certo Pavel Nedved. Beh, la classe della chioma bionda era tutto, tranne che comune. La classe non è ascrivibile unicamente alla tipologia dei Zidane, Messi o Ronaldinho. CR7, lui sì di classe ne ha ben poca, era un esempio perfetto.

    X Walter= concordo, Nedved è stato l’ultimo recente artista ambidestro prima di Verdi.

  • Lupiae Calcio 1996

    Anche il Profeta Hernanes calcia indifferentemente di destro e sinistro, anche se poi si è perso per strada.

  • Giusto lo dicevamo anche internos io e Bucci. Hernanes calciava, e benissimo, indifferentemente con entrambi i piedi.

    Non è stato facile cmq risalire a doti del genere in calciatori moderni. Forse perché davvero è dote d’altri tempi.

    X Sconcertato= provocazione? E se ragionassimo sulla possibilità dell’incarico part-time?
    E lo dico a discapito del mio Napoli, ma uno come Sarri non apporterebbe idee nuove? Ad oggi, impossibile anche solo pensarlo.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *